Dopo l’esito favorevole di un esame medico, individui sani traggono sollievo ed energia. Per gli ipocondriaci, invece, la tranquillità è effimera. La paura persiste, spingendoli a credere di essere affetti da diverse malattie. Nonostante ciò, l’ipocondria è ancora oggetto di derisione sociale. Tuttavia, è un disturbo psicologico reale e significativo.
Breve storia dell’ipocondria
L’ipocondria, concetto radicato nella storia, trae origine dall’antica credenza greca che le emozioni, inclusa la paura, fossero situate nell’addome, da cui il termine “male degli ipocondri”, riferito alle zone laterali sopra il diaframma toracico.
Nel 2013, il termine “ipocondria” è stato rimosso dal DSM, sostituito con “disturbo da sintomi somatici” e “disturbo da ansia di malattia“. L’avvento di internet ha portato alla “cybercondria”, con ricerche online che generano auto-diagnosi fantasiose, compromettendo la relazione medico-paziente.
L’ipocondria, oltre a influenzare negativamente la qualità della vita, può sfociare in crisi di panico ed essere associata alla depressione o ad altri disturbi psichiatrici. Nonostante l’interesse per le malattie, l’approccio non scientifico e la ricerca ossessiva di sintomi risultano sfiancanti. L’ipocondria va considerata come un disturbo psicologico con impatti significativi sia per l’individuo che per il sistema sanitario.
Gli ipocondriaci rischiano di morire prima?
Secondo una ricerca condotta dal Karolinska Institutet, l’ipersensibilità alla possibilità di contrarre una malattia mortale è associata a una riduzione della durata media della vita di cinque anni rispetto ai soggetti non affetti da tale preoccupazione cronica.
Lo studio, pubblicato su Jama Psychiatry, ha coinvolto 42.000 individui seguiti per un periodo di vent’anni, di cui 1.000 soggetti affetti da ipocondria. I risultati hanno rivelato che coloro che soffrivano di ipocondria mostravano una riduzione significativa dell’aspettativa di vita. Inoltre, i pazienti con ipocondria avevano un rischio di suicidio quasi quattro volte superiore e un maggior rischio di mortalità dovuta a malattie respiratorie, quali influenza e Covid, nonché a disturbi circolatori e neurologici.
Il team di ricerca ha analizzato i dati provenienti dal registro nazionale dei pazienti svedesi, che fornisce informazioni sullo stato di salute di tutti i pazienti nel paese. Dai risultati è emerso che la maggioranza dei pazienti con ipocondria (57%) erano di sesso femminile e la stragrande maggioranza presentava anche altri disturbi d’ansia (78%).
Quali sono le cause dell’ipocondria?
La costante apprensione dell’ipocondriaco, talvolta scaturita da sensazioni fisiche normali come sudorazione o gonfiore, può indurre uno stato di stress cronico, riconosciuto come una causa ben documentata di disturbi fisici. Il meccanismo di stress e ansia può attivare la secrezione di neurotrasmettitori e ormoni correlati allo stress, che a loro volta possono stimolare l’aumento dei livelli di infiammazione sistemica.
Numerose ricerche hanno stabilito una correlazione tra infiammazione cronica e una vasta gamma di problematiche, tra cui un compromesso del sistema immunitario, il quale riduce la capacità dell’organismo di contrastare efficacemente le infezioni e le patologie.
Quali sono le possibili cure?
Chi soffre di ipocondria può accedere a diverse forme di trattamento, sia psicoterapiche che farmacologiche. Secondo Laura Bellodi, primario del Centro disturbi d’ansia e disturbi dello spettro ossessivo-compulsivo dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, il medico di base può fornire un iniziale conforto, ma nel tempo il suo ruolo può perdere efficacia.
La psicoterapia cognitivo-comportamentale è indicata per aiutare a riconoscere e affrontare le distorsioni cognitive ed emotive, offrendo strategie pratiche per la vita quotidiana. I farmaci che agiscono sulla neurotrasmissione serotoninergica, come triciclici e inibitori selettivi del reuptake della serotonina, sono efficaci, ma possono causare effetti collaterali in grado di compromettere la terapia a lungo termine.
In tal senso, un’indagine di Slow Medicine ha evidenziato il cambiamento del ruolo del medico di fronte ai pazienti ipocondriaci, spesso assumendo un ruolo di consulente psicologico. Molti medici ritengono che visite più lunghe siano necessarie per comprendere meglio le preoccupazioni del paziente e individuarne le cause profonde. Tuttavia, il rapporto tra medico e paziente può diventare conflittuale, con richieste eccessive di test diagnostici non necessari da parte dei pazienti, il che mette a dura prova la fiducia e la relazione tra professionista e paziente.
Un recente studio della rivista scientifica CORTEX ha rilevato un’alterazione della connettività cerebrale negli ipocondriaci, evidenziando la natura psicologica del disturbo. È importante riconoscere il grave impatto dell’ansia da malattia sulla vita dei pazienti e dei loro familiari. Al giorno d’oggi è dunque fondamentale superare il concetto di “malati immaginari” e considerare l’ipocondria come una vera e propria condizione clinica.