Le protesi artificiali sono dispositivi progettati per sostituire, supportare o migliorare la funzionalità di parti del corpo mancanti, danneggiate o paralizzate. Fin dall’inizio della sua storia, l’uomo si è trovato a dover compensare le abilità di arti non più funzionanti. Prima con legno e fibre vegetali, poi con ferro, acciaio e rame.
Nonostante questa evoluzione, lo sviluppo delle protesi ha con il tempo incontrato una battuta d’arresto. Per decenni, ben poco è cambiato negli arti protesici rispetto a quelli messi a disposizione dei soldati di ritorno dalla Seconda guerra mondiale.
Un cambio di passo importante è avvenuto a seguito dell’intervento del Dipartimento della Difesa americano che nel 2006 ha lanciato il progetto “Revolutionizing Prosthetics”, un ambizioso programma pluriennale da 100 milioni di dollari con l’obiettivo di sviluppare tecnologie prostetiche al fine di creare un arto artificiale a controllo neurale in grado di ripristinare le capacità motorie e sensoriali di pazienti che hanno subito danni o amputazioni.
Quali sono stati, da allora, i passi avanti della tecnologia protesica?
Arti robotici controllati dal cervello
Nel corso dei secoli sono stati provati diversi espedienti per costruire protesi in grado di replicare i movimenti degli arti originali. Uno degli esempi più famosi è quello di Götz von Berlichingen, cavaliere tedesco del XVI secolo che perse il braccio destro in battaglia e lo sostituì con una protesi in grado di tenere oggetti da uno scudo, alle redini del proprio cavallo e persino una penna.
Oggi l’obiettivo della tecnologia protesica è sicuramente più ambizioso: creare arti artificiali controllabili direttamente con il cervello. Grazie ad una serie di elettrodi impiantati nei muscoli, è possibile raccogliere i segnali elettrici del cervello per il controllare il movimento della protesi. Grazie a un computer, i segnali vengono tradotti in input per l’arto robotico che è quindi in grado di agire come un’estensione del corpo a tutti gli effetti.
Il ritorno del senso del tatto
Mettere in comunicazione il cervello con l’arto artificiale significa creare un canale monodirezionale: gli impulsi arrivano alla protesi ma questa non restituisce nulla, nessuna sensazione.
Non ci fermiamo mai a pensare quanto il tatto influisca sulla nostra vita. Quando afferriamo un caffè ai distributori automatici siamo in grado di regolare perfettamente la forza che dobbiamo esercitare per non schiacciarlo. I nostri piedi sentono sempre il pavimento sotto di loro. Per le persone con arti artificiali o con lesioni spinali, la perdita del contatto porta ad una sensazione alienante, in cui il mondo è vicino ma allo stesso tempo distante, irraggiungibile.
La ricerca sta lavorando per ridare a queste persone la possibilità di sentire. Inserendo all’interno delle protesi dei sensori collegati ai nervi, questi sono in grado di restituire al cervello una sensazione tattile di base. Questa modifica permette di avere un controllo molto più preciso delle protesi, che restituiscono un feedback all’utilizzatore aiutandolo nelle attività di tutti i giorni, dal semplice rimanere in equilibrio fino alla manipolazione di oggetti molto piccoli.
Questi enormi passi avanti interessano principalmente le persone a cui mancano gli arti. Per quanto riguarda invece chi ha ancora tutto il proprio corpo ma non è più in grado di controllarlo?
Controllo neurale di un arto artificiale
L’obiettivo ultimo della ricerca protesica è trovare un modo per collegare il robot direttamente al cervello, bypassando completamente la spina dorsale. Oltre ad una maggiore precisione nella ricezione degli impulsi, questa tecnologia potrebbe aiutare non solo chi ha perso un arto, ma anche chi ne ha perso il controllo a seguito di lesioni del midollo spinale.
Sono già in corso ricerche che permettono a persone affette da tetraplegia di controllare un arto robotico staccato dal proprio corpo utilizzando nient’altro che i propri pensieri. Anche in questo caso, il robot è in grado di restituire al cervello il senso del tatto, che in alcuni casi era stato completamente perso.
La capacità di bypassare le lesioni spinali appare particolarmente interessante perché, oltre al controllo di arti protesici, potrebbe essere in grado di rimettere in comunicazione il cervello con gli arti veri e propri. La protesi, in questo caso, sarebbe il braccio o la gamba originale del paziente, ancora perfettamente funzionanti ma non più in “connessione” con il cervello.
Dal legno al metallo, dalla plastica alla carne vera e propria, il percorso della tecnologia protesica ha fatto, e sta facendo, passi da giganti, permettendoci di immaginare un futuro nel quale la mancanza di un arto o l’impossibilità di controllare parti del corpo saranno un ricordo del passato.